martedì 9 settembre 2008

La vostra nota

" - Voi venite qui a cantare non una nota qualunque. Voi venite qui a cantare la vostra nota. Non è una cosa da niente: è una cosa bellissima. Avere una nota, dico: una nota tutta per sé. Riconoscerla, fra mille, e portarsela dietro, dentro, addosso. Potete anche non crederci, ma io vi dico che lei respira quando voi respirate, vi aspetta quando dormite, vi segue dovunque andiate e giuro non vi mollerà fino a che non vi deciderete a crepare, e allora creperà con voi. Potete anche fare finta di niente, potete venire qui e dirmi, caro Pekisch mi spiace ma non credo di avere proprio nessuna nota dentro, e andarvene, semplicemente andarvene... ma la verità è che quella nota c'è... c'è ma voi non la volete ascoltare. E questo è idiota, è un capolavoro di idiozia, davvero, un'idiozia da rimanere di stucco. Uno ha una nota che è sua, e se la lascia marcire dentro... no... statemi a sentire... anche se la vita fa un rumore d'inferno affilatevi le orecchie fino a quando arriverete a sentirla e allora tenetevela stretta, non lasciatela scappare più. Portatela con voi, ripetetevela quando lavorate, cantatevela nella testa, lasciate che vi suoni nelle orecchie, e sotto la lingua e nella punta delle dita. E magari anche nei piedi, sì, così chissà che non riusciate ad arrivare una volta puntuali (...).
Pehnt camminava mettendo un piede davanti l'altro come su un invisibile filo sospeso su un canyon profondo quattrocento metri, forse di più.
- Dì, Pekisch...
- Mmmh...
- Ce l'avrò, io, una nota?
- Sicuro che ce l'avrai.
- E quando?
- Prima o poi.
- Prima o poi quando?
- Magari quando diventerai grande come quella tua giacca.
- E che nota sarà?
- Non lo so, ragazzo. Ma quando sarà il momento la riconoscerai.
- Sei sicuro?
- Giuro.
Pehnt tornò a camminare sul filo immaginario. Il bello era che anche quando cadeva non succedeva niente. Era un canyon molto profondo. Ma era un canyon di animo buono. Ti lasciava sbagliare, quasi sempre.
- Dì, Pekisch...
- Mmmh...
- Tu ce l'hai una nota, vero?
Silenzio.
- Che nota è, Pekisch?
Silenzio.
- Pekisch...
Silenzio.
Perchè a dire tutto il vero, non ce l'aveva una sua nota. Pekisch. Incominciava a diventare vecchio, suonava mille strumenti, aveva la testa che frullava suoni infiniti, sapeva vedere il suono, che non è la stessa cosa di sentirlo, sapeva di che colore erano i rumori, uno per uno, sentiva suonare anche un sasso immobile - ma una sua nota, lui, non l'aveva. Non era una storia semplice. Aveva troppe note dentro per trovare la sua. E' difficile da spiegare. Era così, e basta. Se l'era ingoiata l'infinito, quella nota, come il mare può ingoiarsi una lacrima. Hai un bel provare a ripescarla... puoi starci anche una vita. La vita di Pekisch. Una cosa che non è facile da capire. Magari uno ci fosse stato, quella notte che pioveva a dirotto e il campanile di Quinnipak suonava le undici, magari allora potrebbe capire, se avesse visto tutto con i propri occhi, se l'avesse visto, Pekisch, in quella notte. Allora sì. Forse capirebbe. Pioveva che Dio la mandava e il campanile di Quinnipak incominciò a suonare le undici. Bisognerebbe esser stati lì, allora. Lì, in quel momento. Lì. Per capire. Qualcosa di tutto quel tutto."

tratto da Baricco, Castelli di rabbia

1 commento:

Sabrina ha detto...

Io credo che ognuno di noi una nota l'abbia. Chissà da quale parte. Anche se l'avesse ingoiata l'infinito, l'ha avuta.
Nessuno c'era quelle notti, ma qualcuno ne ha vissute altre, simili... diverso il tempo ed il luogo, ma uguale la notte, uguale il buio, uguale la pioggia.